Intervista al Professor Francesco Benazzo

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Oggi parleremo con il Prof. Francesco Benazzo di come si sta evolvendo l’ortopedia e di quale sarà la chirurgia del futuro.  Il Prof. Francesco Benazzo è full professor di Ortopedia e Traumatologia presso l’Università di Pavia dal 2000 e, inoltre, Direttore della Sezione di Chirurgia Protesica a Indirizzo Robotico e Unità di Traumatologia dello Sport, da marzo 2020, presso la Fondazione Poliambulanza di Brescia.

Il Professor Benazzo è consulente della FIDAL (Federazione Italiana Di Atletica Leggera) e ha partecipato, a partire dal 1984 (Giochi Olimpici di Los Angeles), a numerosi eventi sportivi internazionali.

Ha ricoperto il ruolo di consulente ortopedico per l’Inter FC dal 2000 al 2014, e del Sassuolo Calcio dal 2015.

Professore, come sta evolvendo l’ortopedia e qual è la chirurgia del futuro?

Negli ultimi anni, l’ortopedia ha vissuto un periodo di modernizzazione. Per fare un esempio esemplificativo banale: 40 anni fa, si passavano le giornate in sala gessi, mentre oggi, praticamente, queste quasi non esistono più nelle cliniche ortopediche. L’immobilizzazione degli arti rimane fondamentale, ma si è trovato una soluzione chirurgica al problema. Inoltre, gran parte della chirurgia ortopedica è affrontata endoscopicamente: ad esempio, le patologie di spalla e di anca non protesica sono state affrontate con i trattamenti artroscopici. Un altro punto di cambiamento rilevante è l’innalzamento dell’età media dei pazienti. Ora, vengono operate più spesso le persone anziane e l’aumento dell’aggressività chirurgica favorisce il recupero precoce della deambulazione; questo significa anche miglior cenestesi.

Oggi, stiamo andando verso un mondo più tecnologico in cui robotica e IA (intelligenza artificiale) si affiancheranno all’ortopedia, così come a tutte le altre discipline mediche per la diagnosi e il trattamento delle problematiche. È necessario parlare, inoltre, della realtà virtuale e della simulazione degli interventi, poiché hanno sempre più una valenza educazionale fondamentale. Sta sempre più prendendo piede il concetto che l’insegnamento dell’arte chirurgica agli specializzandi non dev’essere più fatta in corpore vivi, ma con simulazioni ad altissima precisione con la realtà virtuale, per portare lo specializzando ad affrontare il vero intervento, quando sarà specialista, come se ne avesse già fatti centinaia.

Ci parli della chirurgia robotica: non sostituisce il chirurgo vero?

Al giorno d’oggi il ruolo dei robot, per quanto riguarda la chirurgia, diventa sempre più importante. Ma chiediamoci, che cos’è un robot? La parola robot viene da una parola slava che vuol dire lavoro. Un robot è una macchina che deve lavorare per permettere all’uomo di eseguire al meglio determinati compiti: definizione molto adatta ai vari robot medicali in uso oggi.

Per esempio, il DA VINCI, un robot utilizzato nella chirurgia generale, permette di fare aggressioni chirurgiche in laparoscopia, suture di vasi, di intestini, rimozione della prostata, in maniera assolutamente precisa. Quindi, il chirurgo programma e i robot, secondo da definizione, eseguono attraverso i comandi manuali del chirurgo, in maniera estremamente precisa, gli atti chirurgici – superando, grazie alla destrezza accuratissima, i limiti umani.

I robot ortopedici sono software basati su algoritmi di intelligenza artificiale, ma non è ancora stato completamente introdotto il machine learning. Le domande da porsi sul futuro sono: ogni caso è sempre un nuovo caso, ma se fossero introdotti software e dati derivanti dal machine learning, i robot potrebbero sostituire il chirurgo nell’esecuzione di un atto chirurgico? I medici che ruolo avranno? Quello di programmare o di controllare un robot?  Ma se un robot diventa pensante e auto decisionista, come nelle previsioni di Stephen Hawking, non potrebbe decidere di liberarsi della specie parassita, ovvero l’uomo?

Visione molto fosca, ma che non può essere smentita se continueremo a spingere verso macchine con lo scopo di sostituire l’uomo. Tutto questo scenario attualmente possibilistico e futuro comporta diversi livelli di responsabilità. Dico banalmente: se il robot sbaglia, ora come ora, è perché l’uomo sbaglia. Ma se il robot sbaglia perché c’è un bug nel suo software, la responsabilità è del chirurgo o del programmatore? E se un robot in futuro prendesse il sopravvento sul medico: la responsabilità sarebbe della macchina (dovrebbe essere punita con privazione di energia o disattivazione?) o sarà del programmatore? E se il programmatore fosse la macchina stessa?

Il futuro potrebbe quindi prendere una via estremamente valida dal punto di vista medico, ma anche una estremamente negativa, non solo dal punto di vista medico, ma anche umano.

Oggi si parla di intelligenza artificiale in quasi tutti gli ambiti. Anche l’ortopedia può essere rivoluzionata dagli algoritmi di machine learning?

Sì, si parla molto al giorno d’oggi di IA (intelligenza artificiale) e Big Data. Effettivamente risulta importantissimo raccogliere più dati possibili che riguardano pazienti, patologie e terapie, non su scala di decine, ma di milioni di dati. Questi dati, quando verranno forniti agli algoritmi di intelligenza artificiale, permetteranno effettivamente di migliorare le conoscenze.

Faccio un esempio che riguarda il nostro campo: l’intelligenza artificiale già esistente nel campo della patologia cancerosa è fondamentale. Con immagini di risonanza si possono fare diagnosi estremamente precise, sulla base dei tantissimi dati che la macchina può accumulare. Il medico bravo è quello che nel corso della sua vita professionale ha sviluppato più esperienza e che riscontra in un caso le stesse caratteristiche già viste in un caso precedente. Ma umanamente quanti pazienti può vedere un medico nella vita? Forse qualche migliaio. Se immaginiamo un medico che abbia immagazzinato milioni di dati di pazienti, allora quello sarebbe il più bravo di tutti. Per un essere umano questo non è possibile, però, mentre per una macchina sì.

Come abbiamo sottolineato prima, tuttavia, il futuro potrebbe prendere una via valida, ma anche una estremamente negativa, a seconda di come evolveranno queste tecnologie. Per questo motivo, chi lavora con le intelligenze artificiali e il machine learning deve prendersi la responsabilità di essere protagonista di una tecnologia molto raffinata che non tutti possono sfruttare. Dev’essere una persona che si prende un grosso carico di responsabilità nell’esplorare questi nuovi campi e questi nuovi mondi, per preparare passo dopo passo le nuove generazioni di medici a queste nuove realtà e a questi nuovi risultati.

I pazienti di oggi come possono accedere a queste tecnologie?  

Per quanto riguarda la chirurgia generale e urologica ormai il DA VINCI è estremamente diffuso. In tantissimi centri viene utilizzata la chirurgia robotica e i centri che rimangono indietro rischiano di perdere pazienti. Ci sono robot per la colonna, per il cervello, per la chirurgia protesica; tuttavia con una certa discrepanza. I robot sono diffusi ma non diffusissimi, hanno un costo elevato con spese di manutenzione che vengono suddivise per singolo intervento (ogni singolo intervento può costare a seconda dei paesi e dei rimborsi dagli 800 ai 2000 € in più per ogni caso). E questi costi o vengono pagati dalle assicurazioni e dal paziente o vengono pagati dalla collettività, ma lo Stato, cioè noi, non possiamo permetterci di pagare tutto.

Se migliorasse la qualità dei software, diminuirebbe il prezzo delle macchine che diverrebbero accessibili a tutti quelli che vogliono interfacciarsi con i robot – oggi solo esecutori, rigidi e prevedibili, ma un domani, se il machine learning sarà implementato, i chirurgi dovranno abituarsi a competere con macchine intelligenti che, per loro definizione, sono superiori al medico.

C’è da vedere quanto si vorrà percorrere questa strada: secondo me, saremo tutti obbligati ad adeguarci per non rimanere fuori dal campo.